E se la vita non si misurasse in risultati, ma in allineamento al nostro obiettivo di vita?
Viviamo in una società dove ci viene insegnato che il valore di una persona si misura dai risultati raggiunti: titoli conquistati, obiettivi centrati, traguardi ben visibili (aka Instagrammabili) e riconoscibili. Ma cosa succederebbe se, invece, iniziassimo a valutare la qualità della nostra esistenza attraverso il nostro allineamento con l’obiettivo di vita, con ciò che per noi è davvero significativo?
L’ossessione per il risultato nasce anche da metriche esterne: numeri, like, premi e riconoscimenti. "Brava bambina". Questo modello, però, rischia di lasciare fuori la dimensione più intima della felicità e della realizzazione personale. Qui entra in gioco il concetto giapponese di Ikigai, che può essere tradotto come “ragione d’essere”, “scopo della vita”. L’ikigai nasce dall’intersezione tra quattro valori: la passione, la professione, la missione e la vocazione. Su Internet si trova facilmente una rappresentazione semplificata, ma anche banalizzata.
Se riuscissimo a mettere in silenzio gli elementi esterni, potremo puntare ad un allineamento, la coerenza tra ciò che facciamo ogni giorno e ciò che per noi conta davvero.
A volte puoi raggiungere un “risultato”, anche un buon risultato per il quale i colleghi si complimentano, senza sentire soddisfazione, semplicemente perché non è in linea con il tuo scopo profondo.
Al contrario, ci sono momenti in cui, pur non avendo raggiunto il traguardo atteso, percepisci un senso di significato e pienezza, perché stai camminando nella direzione giusta per te.
Un cambiamento di paradigma: misurare la vita rispetto all’allineamento con il nostro "scopo di vita" permette di vivere meno nell’ansia da prestazione e più nella presenza. Dare priorità alle esperienze che rispecchiano i nostri valori, non solo all’efficienza. Ridimensionare il peso degli insuccessi, vedendoli come occasioni di crescita, aggiustando la rotta piuttosto che come “fallimenti”. Ricordandoci che l'Ikigai non viene definito una volta per tutte, ma che puo' variare con la nostra età ed esperienza.
Vi è mail capitato di chiedervi “quanto quello che faccio ogni giorno è allineato al mio grande perché?” Prima ancora che ci sia la certezza (ammesso che esista) di quale sia il perché, questa domanda ha già cambiato la prospettiva: il focus si sposta dal giudizio al senso, dalla performance alla presenza, dal fare all’essere.
Un esempio? Un'amica, inizialmente preoccupata per non aver “sfondato” in un progetto, ha riscoperto soddisfazione riconoscendo che stava comunque facendo un'esperienza che l'avrebbe avvicinata a quello che riteneva il suo scopo di vita. La gratitudine per il percorso, non solo per l’obiettivo finale, è diventata la vera misura della sua realizzazione.
In altri termini (e la domanda è anche rivolta a me) quanta coerenza c'è tra ciò che fai e ciò che sei?

How Do We Measure Life?
What if life weren’t measured by results, but by alignment with our life purpose?
We live in a society where we’re taught that a person’s worth is measured by the goals they achieve: degrees earned, targets hit, achievements that are highly visible (aka Instagrammable)
and easy to recognize. But what if, instead, we started evaluating the quality of our existence based on our alignment with our life purpose—with what is truly meaningful
to us?
The obsession with results often comes from external metrics: numbers, likes, awards, and recognition. “Good girl.” But this model risks leaving out the most intimate dimension of our happiness and personal fulfillment. This is where the Japanese concept of Ikigai comes in, which can be translated as “raison d’être” or “life’s purpose.” Ikigai is born at the intersection of four values: passion, profession, mission, and vocation. You can easily find a simplified—and sometimes oversimplified—diagram online.
If we could silence all external noise, we could aim for alignment—the coherence between what we do each day and what truly matters to us.
Sometimes you can achieve a “result”—even one that earns you praise from colleagues—yet feel unsatisfied, simply because it’s not in line with your deeper purpose.
On the other hand, there are moments when, even without hitting the expected target, you feel a sense of meaning and fulfillment, because you’re walking the path that’s right for you.
A paradigm shift: measuring life against our alignment with our “life purpose” allows us to live less in performance anxiety and more in the present. It lets us prioritize experiences that reflect our values, not just our efficiency. It helps us see setbacks as opportunities to grow and change course, rather than as “failures.” (And we should remember: Ikigai isn’t defined once and for all—it can change with age and experience.)
Have you ever asked yourself, “How much of what I do every day is aligned with my big Why?” Even before you’re certain (if that’s even possible) about what your Why is, just asking the question already shifts your perspective: the focus moves from judgment to meaning, from performance to presence, from doing to being.
An example? A friend of mine—initially worried that she hadn’t “broken through” with a project—rediscovered satisfaction in recognizing she was, nevertheless, gaining experience that would bring her closer to what she considered her life purpose. Gratitude for the journey itself, not just for the final result, became the real measure of her fulfillment.
Put simply (and this question is for me too): how much coherence is there between what you do and who you are?
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Pier Zuanon (venerdì, 19 settembre 2025 21:28)
Condivido pienamente. Nella nostra societa, competitiva e prestazionale, ci si rifugia spesso nell’adesivo e a un ruolo, alle aspettative altrui, senza ascoltare la voce interiore di insoddisfazione e sofferenza per il dia allineamento di cui parli.